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The Decemberists - The Hazards of Love, un album quasi perfetto [4/5]

By martchelo on martedì, ottobre 13, 2009

Gli album dei Decemberists mi sono sempre piaciuti. Il loro sound è unico, immediatamente riconoscibile. Forse fin troppo, ad essere sinceri, tanto che fatico un po' a distinguere un album dall'altro. I quattro lavori pubblicati tra il 2002 e il 2006 sono infatti piuttosto simili, con una punta d'eccellenza toccata con Picaresque. I quattro ragazzi di Portland guidati dall'inconfondibile voce di Colin Meloy, suonano una personale miscela che definirei indie-folk (ammesso che questa definizione abbia un senso...) venata di rock e con qualche momento teatrale, direi quasi brechtiano (ooohhh, è una vita che sognavo di scrivere "brechtiano", ora che l'ho fatto mi sento meglio).

Ai Decemberists le idee non sono mai mancate, semmai talvolta si sono fatti prendere un po' la mano dalla loro vena malinconica risultando talvolta noiosi. L'uscita di The Hazards Of Love, loro quinto album, non mi ha incuriosito più di tanto e ho ascoltato questo cd soprattutto per la segnalazione che mi ha fatto un amico (in realtà ultimamente celebre per segnalarmi solo album menosi...).
La mia perplessità era del tutto fuori luogo, The Hazards of Love è nettamente il loro miglior album. Il progetto è particolarmente ambizioso, una sorta di concept-album (non se ne sentiva parlare da un pezzo...) che narra, senza soluzione di continuità lungo le diciassette tracce, la storia di una certa Margaret. Gli elementi nuovi sono molti e tutti piacevoli: il suono dei Decemberists si è rinnovato profondamente dando un'ampio spazio al rock senza però perdere in varietà e Colin Meloy non è più l'unica voce ma si fa afffiancare da Jim James e soprattutto dalle voci femminili di Becky StarkShara Worden che donano al gruppo quella levità che fino ad ora era mancata.
Tutto è quasi perfetto. Quasi. In The Hazards of Love non manca nulla, anzi, c'è troppo: quattro versioni della stessa canzone (la title-track), un'enfasi a tratti eccessiva negli arrangiamenti e troppe canzoni. Peccato, con qualche sforbiciata poteva essere un capolavoro e invece è solo (...) un grande album. A partire dalla strepitosa Won't Want for Love (Margaret in the Taiga).

 
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